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Adolescenti tra Dad, cellulari e relazioni digitali – parla Stefano Ciervo

Intervistiamo Stefano Ciervo, psicologo e psicoterapeuta di Fondazione Guzzetti, riguardo alla condizione attuale degli adolescenti, della scuola in presenza, delle relazioni interpersonali ancora molto condizionate.


Stefano Ciervo

Qual è la tua percezione riguardo agli adolescenti oggi?
I ragazzi sono stati, dal mio punto di vista, una delle poche sorprese positive di questa inimmaginabile epoca. Si sono mostrati generalmente capaci di far fronte all’emergenza sanitaria, alle norme in continuo divenire ed hanno dimostrato risorse, partecipazione e responsabilità collettiva. La mia percezione è che i ragazzi siano stati sostenuti dalla naturale propensione al cambiamento che l’adolescenza comporta e dalla conseguente capacità di adattamento. Si sono trovati ad affrontare la pandemia in un momento evolutivo che porta con sé e impone profonde trasformazioni e che richiede nuove soluzioni e strategie per far fronte a situazioni inedite. Possiamo dire che gli adolescenti si sono trovati ad avere una “dotazione di bordo” più adatta di quella degli adulti, perchè già si trovavano nell’età dell’incertezza nella quale noi siamo entrati senza alcun preavviso con l’arrivo del virus.

Hanno faticato meno di noi, quindi? Si sono giocati due campionati diversi tra adolescenti e adulti?
No, questo non vuol dire che abbiano sofferto di meno, anzi. Proprio perché́ vivono una fisiologica propensione al cambiamento, hanno un profondo bisogno di sperimentare; di fare diretta esperienza di sé nel mondo; di avere la possibilità di immergersi fisicamente nella realtà quotidiana; di vivere scambi relazionali attraverso i quali crescere e conoscersi, partecipando al gioco di specchi che permette (nel bene o nel male) di appropriarsi di nuove parti di sé per costruire il puzzle della propria identità nascente. Un ruolo determinante in questo senso lo ha avuto la rete. È stato uno strumento prezioso per portare avanti le relazioni. Per gli adulti forse l’occasione per riconoscere la competenza dei ragazzi e nobilitare un mondo che è stato per lungo tempo riconosciuto principalmente per i suoi limiti e rischi. Anche in questo caso c’è stato un costo.

Cioè?
I ragazzi sono riusciti a portare avanti socialità e studi grazie alla rete, ma perdendo una considerevole parte di esperienze che avrebbero fatto in presenza, con il proprio corpo. Per qualcuno è stata l’occasione di riposare e recuperare terreno, per altri un periodo in cui accumulare il desiderio di rincontrarsi, per altri ancora ha comportato perdita di occasioni irripetibili che non avranno modo di recuperare. Di questo i ragazzi si sono esplicitamente lamentati. Hanno dimostrato che il famigerato mondo della rete non è in grado di sostituire i contesti fisici, fagocitare i nostri ragazzi e derubarli del desiderio di partecipare alla vita del mondo esterno.

Parliamo di scuola. In che modo gli adolescenti hanno vissuto la didattica a distanza (dad) e come la vivono ancora oggi?
Credo ci siano state diverse fasi. L’iniziale novità è stata accolta piuttosto bene dai ragazzi, mentre ha messo invece a durissima prova il corpo docente e istituzioni. Gli adulti in tante occasioni hanno dato prova di grande passione per il proprio lavoro, ma generalmente è stata piuttosto deludente l’immagine che hanno restituito ai ragazzi. È seguita una lunga fase di assestamento nella quale la Dad è divenuta in tanti casi occasione di diluizione della qualità della presenza: ragazzi che dal letto si trascinavano davanti allo schermo, webcam spente e attenzione fluttuante. Possiamo dire che ai ragazzi, specialmente ai più giovani, è stato richiesto improvvisamente di essere autodisciplinati in modo eccessivo e spesso (e comprensibilmente) l’occhio cascava più sul cellulare che sulla lezione. Intanto abbiamo assistito alla vera e propria nascita della Dad. I professori hanno adattato la didattica e la relazione al mezzo informatico richiamando gradualmente i ragazzi alla presenza attiva. E’ stata una macchina da progettare, assemblare, vendere ed avviare. Ad oggi credo che nella stragrande maggioranza dei casi sia un dispositivo valido ed efficace sul piano didattico, un’opportunità.  I limiti sono stati però evidenti.

Per esempio?
Mancano gli elementi che vanno oltre la didattica: gli incontri, i confronti. Mancano tutte quelle piccole e significative esperienze che comportano l’andare fisicamente a scuola. Dal momento in cui si mette piede giù dal letto, c’è un vestito da scegliere (che verrà visto, e forse commentato), c’è un mezzo pubblico da prendere, un orario da rispettare, rituali davanti a scuola con i compagni. I corridoi, i saluti, gli sguardi. L’intervallo, la divisione in gruppi e i conflitti di appartenenza. Tutte quelle esperienze che come dicevamo aiutano e costringono i ragazzi a fare esperienza di sé stessi e ricevere in cambio gli ingredienti per formare la propria identità. Tutto ciò è mancato per mesi ed è stato tangibile l’effetto.

Insomma, aspetti positivi e negativi. Ma che cosa hanno sofferto di più gli adolescenti?
Hanno patito il continuo riadattamento delle misure e la poca chiarezza che gli adulti hanno dimostrato. Hanno dovuto adattarsi e riadattarsi di continuo. Abituarsi e rinunciare alla presenza per poi ritornare al 50%, forse, a giorni alterni, tra qualche settimana. Abbiamo assistito anche ad un effetto paradosso per il quale tanti ragazzi oggi soffrono il ritorno sui banchi, ritorno che tanto è stato atteso e reclamato, anche con bellissime manifestazioni in cui il dissenso e la protesta hanno a mio avviso toccato punti molto alti. Ricordo le foto di “ragazzi in dad” in classi occupate. I ragazzi hanno protestato e occupato, dimostrando senso di responsabilità, partecipazione e soprattutto appartenenza, riappropriandosi di una istituzione che hanno il desiderio di vivere e frequentare. Diversamente da quanto accadeva in passato nelle occupazioni durante le quali gli adulti venivano chiusi fuori, oggi i ragazzi li hanno richiamati dentro perché possano continuare a insegnare loro. A me ha emozionato. Alcuni hanno reagito, partecipato, alcuni si sono adattati, qualcuno ha sofferto seriamente. In ogni caso è emerso quanto il benessere dei ragazzi dipenda dalla qualità delle loro relazioni.

Relazioni vere, non digitali?
Le relazioni nel digitale possono essere vere, e spesso lo sono! Le relazioni possono essere autentiche e nutrienti, anche se mediate da uno schermo. Online succedono cose reali, che hanno ripercussioni concrete sul nostro mondo interno. È importante prendere sul serio il potenziale di questo universo nel quale i ragazzi hanno da sempre mantenuto le loro relazioni. In ogni caso questa situazione ci ha dimostrato che, per quanto protettivo e pratico, vivere esclusivamente online è forse paragonabile al vivere senza mai esporsi ai raggi del sole, si sopravvive ma ci si ingrigisce.

A volte si vedono gli adolescenti senza mascherina o con la mascherina abbassata. Sono davvero così maturi come crediamo?
A me piace pensare che le “dimenticanze” o il rifiuto di qualche regola sia da considerarsi come una manifestazione di una difesa più che di una protesta o trasgressione. Il tentativo forse di concedersi una pausa dal distanziamento e dall’angoscia. Insomma, un meccanismo di difesa sano.

Di che cosa hanno bisogno i ragazzi oggi?
Esattamente di ciò di cui avevano bisogno prima della pandemia: di essere visti, ascoltati e compresi. Di limiti che ancora non sono in grado di proporre a se stessi, di autenticità. Di adulti disponibili ma non intrusivi, che facciano domande ma che non pretendano una risposta. Necessitano di adulti che mostrino loro franchezza e partecipazione affettiva. L’adulto che si arrocca nella sua autorità da rispettare a prescindere ha perso credibilità e non fa più paura. Tutto ciò credo valga per genitori, professori e anche per noi terapeuti!

E’ così anche con gli adolescenti che sono in terapia con te?
Sì, certo. La sfida consiste nel mantenere una posizione adulta e al contempo abitare con loro la porzione di mondo che scelgono di condividere con noi. Abbandonare la posizione rassicurante (per noi adulti) di “chi ci è già passato e sa come funziona” e incontrarli riconoscendogli che sono loro gli esperti del loro mondo.

 Rispetto a quest’ultimo anno, gli adolescenti ci hanno guadagnato o perso, nel loro percorso di crescita?
E’ presto per dirlo. Il rischio è di arrivare a conclusioni generalizzate ed affrettate. Per qualcuno potrebbero essere stato un momento molto faticoso ma anche l’opportunità per scoprire molte risorse di sé. Per qualcun altro invece le esperienze perse potrebbero lasciare tracce, anche se non è detto che non si riesca a rendere con il tempo anche le cicatrici punti di forza. È necessario attendere e considerare caso per caso.

Come porci allora come adulti nei loro confronti?
Con umiltà d’animo di chi tollera di non sapere e abbandonando il tentativo di prevedere cosa sarà. Lasciando spazio ai tentativi e agli errori. Accompagnandoli con fiducia e speranza. Riconoscendo passo dopo passo le loro fatiche e le loro conquiste.