“Sono arrivata alla scelta universitaria dopo qualche anno dal diploma. Una scelta più ritardata, ma decisamente più consapevole”. Comincia a raccontare così Sara Oliva Boch, pedagogista di Fondazione Guzzetti. “Avevo desiderio di approfondire il contatto con i bambini. Così ho scelto di diventare pedagogista”.
Quali erano le tue aspettative?
“Volevo ottenere la possibilità di entrare in questo settore lavorativo. Con il tirocinio e altre esperienze lavorative presso asili nido, però, ho capito che il mio ambito privilegiato era la relazione con i genitori”.
Eri ancora nel percorso di laurea triennale?
“Sì, ho fatto Scienze dell’educazione a Genova, la città da cui provengo. Stimolata da un docente incontrato all’università, mi sono accorta che gli autori di tanti libri di pedagogia che leggevo insegnavano alla Bicocca di Milano. Ho scelto questa come università per la mia laurea magistrale in Scienze pedagogiche”.
Avresti potuto proseguire l’università a due passi da casa, visto che l’università era veramente vicinissima al luogo in cui abitavi. Ma hai deciso di trasferirti a Milano. Anche qui, che aspettative avevi?
“Ho scelto la facoltà migliore che avrei potuto desiderare. Amavo il modo in cui quei docenti insegnavano pedagogia. Entrambe le mie tesi hanno avuto uno stampo filosofico, perché nella mia formazione c’è una radice filosofica molto forte e mi sono ritrovata molto nell’approccio alla pedagogia e più in particolare alla consulenza pedagogica proposta da alcuni docenti di Bicocca”.
E dopo la laurea?
Ho seguito alcuni laboratori di formazione pedagogico sistemica, condotti da Laura Formenti, Andrea Prandin e Silvia Luraschi attraverso i quali ho potuto lavorare sulla mia postura in consulenza. E recentemente ho approfondito il tema della mindfulness che mi è stata molto utile anche in un periodo particolarmente impegnativo della mia vita.
Sara Oliva Boch
Ti va di parlarcene?
Nel 2019 mi sono presa una lunga pausa a causa di una malattia oncologica che mi ha colpito. Un’esperienza di vita molto importante.
Immagino. E come stai ora?
Ora bene. Sono controllatissima, anzi una sorvegliata speciale. Ma sta andando tutto bene.
Bene, che bella notizia! Torniamo alla mindfulness. Come mai ti è stata così utile?
Ho approcciato la mindfulness perché sentivo di aver bisogno di qualche strumento in più per affrontare quel periodo. Ora la consiglio spesso a genitori che vivono con particolare ansia e difficoltà la gestione di situazioni emotive complesse con i figli.
E come hai conosciuto Fondazione Guzzetti?
Proprio tramite uno dei docenti dei laboratori di formazione che ho seguito dopo la laurea, Andrea Prandin, che è stato contattato da Barbara Nesi, coordinatrice del consultorio Restelli di Fondazione Guzzetti. Sin dal nostro primo incontro c’è stato proprio un bel riscontro reciproco.
Di che cosa ti occupi in consultorio?
Di consulenza pedagogica e supporto alla genitorialità. Lavoro con coppie di genitori che hanno delle difficoltà o preoccupazioni importanti rispetto ai figli e chiedono di essere accompagnati a leggere la situazione con maggiore profondità e allo stesso tempo con una prospettiva più ampia. Presto consulenza pedagogica anche singola, solo con una mamma o con un papà.
Lavori con coppie separate?
Anche, ma non necessariamente. Si tratta più semplicemente di coppie che faticano a trovare una linea genitoriale comune. Il più delle volte si sentono in difficoltà. Hanno bisogno di un confronto, un dialogo, guidato da un esterno che li aiuta a ricostruire e rivedere l’assetto familiare non funzionale.
Ci fai un esempio concreto?
Una coppia di genitori mi ha chiesto aiuto per la figlia adolescente, che manifestava grande ansia per qualsiasi situazione nuova che le chiedesse di mettersi in gioco. Questo generava molta preoccupazione nei genitori che cercavano di ovviare al suo senso di inadeguatezza senza buoni risultati, anzi aumentando il disagio della figlia. Da tempo la ragazza era seguita da una collega psicologa, che ha consigliato ai genitori di procedere con un percorso pedagogico specifico per loro. E così sono entrata in gioco io.
E com’è andata?
Nella raccolta degli elementi ho subito notato alcuni aspetti interessanti. Ad esempio, la fragilità della dinamica relazionale genitore-figlio, un eccesso di investimento, di presenza, di accudimento nei confronti della figlia. Abbiamo riflettuto insieme sulla motivazione che ha portato a questa modalità di essere genitore e abbiamo cercato insieme una soluzione.
Cioè?
Come poter rimodulare questa presenza affinché non venga vissuta dalla figlia come eccessiva, giocando sui punti di forza della coppia genitoriale.
Ci sono situazioni troppo complesse o impossibili da affrontare?
No. Non mi sento di dire che ci sono condizioni insormontabili. Certamente ce ne sono alcune più complesse; solitamente quelle più difficili sono quelle più stratificate nel tempo.
In che senso?
Passata l’adolescenza, dai 18 ai 25 anni, la stratificazione delle dinamiche problematiche è molto più consistente. Certo, poi entra in gioco l’adulto e la sua voglia di mettersi in discussione come genitore.
Quali errori da evitare?
Aver paura di chiedere aiuto. Sentirsi sempre sbagliati. Non c’è mai giudizio da parte nostra per quello che è successo o che succede. Ciò che conta è mettersi in discussione, non chiamandosi fuori dal confronto.
Pur lavorando da poco in consultorio, cosa apprezzi di questo ambiente?
La possibilità di lavorare in equipe, avere occhi e sguardi diversi sulla medesima situazione è arricchente e genera senz’altro condivisione.
E che cosa sogni per questo luogo?
Che venga conosciuto sempre di più. Diverse persone non conoscono la realtà del consultorio, non sanno che esiste la possibilità di avere un pedagogista che svolge incontri gratuiti. Del resto, il servizio è pubblico, ma molti rimangono ancora stupiti delle possibilità che trovano in Fondazione. Un vero peccato!