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Alma Bianchi – “Ecco perchè oggi le coppie fanno fatica”

Alma Bianchi è la mediatrice familiare di Fondazione Guzzetti. “Mi sono laureata in filosofia per passione. Mi piaceva molto. Ho lavorato per un po’ di tempo nell’editoria, in particolare presso Vita e Pensiero, la casa editrice dell’Università Cattolica. Poi ho smesso di lavorare: sono arrivati tre figli e mi sono presa cura di loro”.

Ma qualcosa ti chiamava…

Sì, dopo 10 anni ho capito che era arrivato il momento di fare qualcosa al di fuori di casa. Mi sono chiesta dove volessi investire questo tempo e ho capito che volevo prendermi cura degli altri.

Da qui la decisione del master in mediazione familiare?

Esatto. Dopo il master ho fatto il tirocinio nel consultorio di Sant’Antonio e ho conosciuto così la realtà di Fondazione Guzzetti. Poi ho avuto l’occasione di rimanere lì a lavorare come mediatrice e ho capito che era proprio la mia strada, confermata poi col tempo.

Nonostante questo, però, la tua formazione non ti sembrava sufficiente…

Il mio è un lavoro talmente sfidante che mi sembra di non essere mai abbastanza formata. Ho sempre sentito che avevo bisogno di formarmi ancora. Sono diventata conduttrice dei gruppi di parola per figli di genitori separati, coordinatrice genitoriale, ho fatto il percorso PEF (Percorso di Enrichment Familiare) e un master al Centro Studi per la Famiglia su Conflitto e tutela dei minori.

E ora?

E ora sto finendo un master triennale per Counsellor in Analisi transazionale, cioè una figura intermedia, che lavora sul potenziale delle risorse del paziente, senza l’uso della psicoterapia.

Interessante…

Sì, ha aiutato tantissimo anche me, nel capire tanti aspetti della mia vita e della mia storia.


Alma Bianchi

Come stanno le persone oggi, dal tuo punto di vista?

Quello che vedo in questi anni è un deterioramento delle relazioni, un malessere dilagante degli adulti, dei bimbi, dei ragazzi.

Perché hai deciso – e continui a decidere ogni giorno – di lavorare in consultorio?

Cercavo una realtà che mi corrispondesse, dove potessi condividere i miei valori e le mie motivazioni. Voglio prendermi cura del prossimo nel modo migliore e ho bisogno di sentirmi sostenuta dai colleghi, dall’equipe, che nello studio privato non avrei; infatti, è solo da un anno che lavoro anche privatamente. In consultorio posso svolgere i gruppi di parola in cui credo tantissimo.

C’è qualche aspetto negativo, che vedi nel posto in cui lavori?

Noto un grande contrasto tra il desiderio di noi operatori di progettare e lo scontro contro il budget che non lo permette. Le rendicontazioni inevitabilmente limitano la progettazione. Ma la complessità delle problematiche richiede un intervento integrato.

Che cosa intendi? Fai un esempio.

In molti casi sarebbe necessaria la co-conduzione, psicoterapeuta e mediatrice familiare. Per motivi di budget questo non è possibile, e svolgiamo i colloqui individualmente per poi confrontarci in equipe. Cerchiamo comunque di fare il meglio possibile e offrire la miglior cura per ciascuno.

Come stanno invece le coppie oggi?

Sono fragili. Non necessariamente mancano di risorse, ma sono proprio fragili. In coppia uno dei due (o tutti e due) fa uso – e abuso – di psicofarmaci, sono depressi, fanno fatica a camminare con le proprie gambe. Le coppie oggi sono meno strutturate, meno resilienti, meno disposte al compromesso, alla fatica, al sacrificio. Mancano punti di riferimenti solidi. Ce ne sono molti più di prima, ma instabili.

Questa crisi colpisce solo le coppie giovani?

Assolutamente no. Se nelle coppie giovani manca una progettualità, nelle coppie più datate manca l’accettazione del tempo che passa. Spesso ci troviamo a chiedere loro: ma perché vi siete messi insieme? E che cosa vi ha tenuto insieme finora? In generale noto comunque un edonismo imperante: ognuno ha diritto ad essere felice. Questo è sacrosanto. Nessuno chiederebbe a qualcuno di stare in coppia, se si è profondamente infelici. Neanche i figli lo chiederebbero ai propri genitori. Ma dobbiamo capire che per poter essere felice insieme a qualcuno occorre anche un certo senso di responsabilità. Altrimenti la coppia non sta in piedi.