Buona festa, papà!
Molto si è scritto in questi anni circa l’evoluzione della figura del padre.
La trasformazione da “autoritario” ad “autorevole”, non solo regole e rigore, ma un papà che, forse dapprima accetta, sceglie progressivamente poi di “calarsi” nella gestione, anche pratica, di un figlio.
Sedersi sul pavimento a giocare con il proprio bambino, imparare a cambiare un pannolino, non vergognarsi di spingere un passeggino, di andare al parco dopo l’asilo o la scuola, anche in mezzo a molte mamme e nonni, sentendosi magari qualche volta un po’ un pesce fuor d’acqua. Questo processo è stato reso possibile, per certi versi è divenuto necessario, in ragione del progressivo cambiamento del ruolo sociale della donna. Abbiamo assistito negli ultimi decenni a una maggiore co-presenza, co-gestione, co-responsabilità dei coniugi nella gestione dei figli. Cambiamento in termini qualitativi e quantitativi, pur con le rispettive disponibilità ed effettive presenze.
A cambiare le carte è arrivato però il Covid. Le narrazioni di molti papà in questo anno maledetto portano spesso alla luce un senso di scoperta, novità e di maggiore consapevolezza nella cura ed educazione dei propri figli. Lo smart-working esteso e la DAD hanno favorito in molti casi la possibilità di fare esperienza più concreta e diretta della vita quotidiana dei propri figli, grazie alla sensazione di essere presenti quasi 24h/24h, ben diversa da quella di altri consueti momenti come il fine settimana o una vacanza. Ne sono esempi i pasti condivisi, la maggiore presenza e coinvolgimento “personali” rispetto alla didattica, i momenti informali e i nuovi spazi di dialogo e conversazione, fino alla condivisione di musica o delle serie tv preferite e così via. Non solo un “fare per”, ma un “fare con” (parafrasando il buon dott. Pellai).
Senza dimenticare, d’altra parte, che per tanti papà la situazione in essere non ha modificato sostanzialmente nulla rispetto al rapporto con i figli, se non aggiungere ulteriori pensieri e preoccupazioni. Del tempo vissuto e condiviso con i figli i papà ne sono fieri, sebbene ancora in molte delle realtà familiari le responsabilità e le cure paterne continuino a esprimersi prevalentemente sotto forma di tutela economica della prole e del nucleo familiare.
Se poi, come rilevato da Repubblica in un recente articolo (fonti Istat), solo lo scorso dicembre 2020 si sono persi 101.000 posti di lavoro, 99.000 dei quali donne, cosa viene da pensare? Ci troviamo di fronte a un dato emblematico, che induce a riflettere. La pandemia e la conseguente crisi economica stanno riportando l’uomo allo schema tradizionale del padre come principale, se non unico, sostenitore economico della famiglia? Si è mai usciti realmente da questo modello? È reale l’integrazione dei ruoli o il padre si è semplicemente inserito nella gestione attiva della prole favorendo la compagna, a seguito della sua emancipazione? Il padre e marito diviene (o torna a essere) garante della realizzazione professionale della propria moglie? In risposta alla pandemia, come vive il padre il tornare a scenari di questo tipo?
Come si sente e come si vuole sentire un papà nel 2021?
In virtù della trasmissione intergenerazionale, possiamo auspicare che le presenti e future generazioni assimilino, replichino, tramandino le attuali evoluzioni del rapporto padre-figlio, migliorandole ancora.
Riusciremo a fare tesoro delle inaspettate fatiche che ci siamo trovati a vivere e trasformarle in altre bellezze.
Un padre è anche questo.
È guardare avanti.
Buona festa, papà
Stefano Pagani, psicologo