Intervistiamo Chiara Bernardini, psicologa e psicoterapeuta, specializzata nella fascia d’età adolescenziale.
Chiara, se dovessi scegliere una parola per descrivere gli adolescenti ora, quale sceglieresti?
Spaesati! E’ un momento di grande cambiamento per loro, soprattutto per la fase evolutiva che vivono: devono affrontare dei cambiamenti del loro corpo e del loro carattere in termini di sviluppo. E in più questa pandemia ha creato incertezze in tutti loro. E’ cambiato tutto: la scuola, lo sport, le relazioni, i progetti… Ma in tutto questo mi viene in mente anche un’altra parola che li caratterizza ora.
Cioè?
Capacità di adattamento.
Perché?
Gli adolescenti, come tutti noi, hanno vissuto due fasi. Il primo lockdown è stato vissuto con grande spaesamento, ma anche con grande felicità. Finalmente si poteva stare a casa, la scuola è stata sospesa per un po’ di tempo. Ma non capivano (e non capivamo nemmeno noi adulti) le conseguenze che questo avrebbe avuto sulle nostre relazioni. In questa seconda fase, invece, regna il sentimento di impotenza. Si sentono impotenti di fronte alla continua apertura e chiusura di tanti ambienti, ad eccezione delle loro aule di scuola. Ma in tutto questo hanno sviluppato la capacità di adattarsi.
Chiara Bernardini
Tu lavori sia in consultorio che nelle scuole. Che scenario hai davanti a te in questi mesi?
Gli adolescenti vengono in consultorio quasi sempre per problematiche legate ai loro compiti di sviluppo: comprendere meglio se stessi, le loro relazioni ed essere aiutati a separarsi dalle figure per loro più importanti: i genitori. Nelle scuole invece emergono di più sia le fatiche che far parte di un gruppo comporta sia le fatiche nel doversi relazionare con l’autorità: i docenti. Questo spesso non richiede percorsi specifici di terapia, ma semplicemente tanto ascolto e confronto.
Ad esempio?
Oggi durante un incontro, virtuale ovviamente, ho chiesto come stessero vivendo la didattica a distanza alternata a quella in presenza. Sono emerse dinamiche di invidia e grossi litigi: chi è a casa invidia chi è a scuola, perché si sente isolato. Chi è in classe invidia chi è a casa, perché fa più fatica a scuola. Reciprocamente si accusavano di avere più compiti degli altri, di essere più impegnati degli altri. Tutto ciò era l’evidente manifestazione del senso di inadeguatezza che provano nel dover gestire una situazione scolastica così difficile.
Come si procede in questi casi?
Abbiamo fatto un lavoro di comprensione di queste dinamiche e li ho aiutati a verbalizzarle. Piano piano la rabbia è passata, i dubbi si sono dipanati ed è tornata la serenità tra i due gruppi.
Parliamo di tecnologia. Quest’anno è stato deleterio per l’uso di dispositivi tecnologici da parte degli adolescenti o hai un’altra impressione?
Spesso noi adulti attacchiamo la tecnologia, ma siamo i primi ad utilizzarla. Accusiamo gli adolescenti di essere dipendenti dal cellulare, ma anche noi siamo molto distratti. Io credo che l’uso degli strumenti hi-tech non sia negativo di per sé. È positivo o negativo il modo in cui viene vissuto nell’ambiente famigliare. Diciamoci la verità: i genitori sono i primi ad avere sempre in mano il telefono. E se la tecnologia aiutasse a sviluppare capacità?
In che senso?
Grazie alla tecnologia, gli adolescenti sono molto più veloci di noi.
Come fare allora a non demonizzare questi strumenti?
I genitori che demonizzano questi strumenti, ma non si interessano dei figli e delle loro passioni. Chiediamoci: quanto gli adulti nei confronti degli adolescenti riescono a mettere in atto un ascolto attivo, davvero interessato all’altro e soprattutto non giudicante? Parlo di un interesse autentico.
Che cosa scoprirebbero?
Per esempio, scoprirebbero che il cellulare e i social possono essere un’occasione, oltre che un pericolo. Il cellulare, il tablet, il computer, i videogiochi sono una proiezione di come l’adolescente sta vivendo la sua vita. Se ha delle paure, si vedono da come utilizza quegli strumenti. Se ha rabbia, si percepisce dai giochi che utilizza. Se ha desiderio di relazioni buone, si capisce dall’uso che ne fa. Pensate che uno di loro, pochi giorni fa, mi ha detto: “Non mi interessa più la Playstation. Ci ho giocato talmente tanto l’anno scorso che non ne posso più”.
Come stanno ora gli adolescenti? Vince la paura o il desiderio di ripartire?
La maggior parte è desiderosa di ripartire. Manca loro il contatto fisico. Le amicizie, soprattutto a quell’età, sono caratterizzate dagli abbracci, dalla vicinanza. Hanno capito l’importanza del legame anche con gli insegnanti stessi. Certo, ci sono ancora alcuni che sono più spaventati. Non vedono come riprendere la normalità. Ma sono adolescenti che già prima della pandemia facevano molta fatica a vivere le relazioni. Se l’altro è qualcuno che fa paura, la pandemia ha esasperato questa paura, perché il messaggio è: l’altro è qualcuno da cui difendermi, per proteggermi.
Spesso sentiamo dire che questi adolescenti in futuro saranno penalizzati perché hanno perso tante ore di scuola. Tu come la pensi?
Penso che dovremmo imparare di più dai nostri adolescenti. Noi li sottovalutiamo e li categorizziamo troppo spesso. Certo, avranno studiato meno programma di italiano, avranno tagliato su molti capitoli di storia, ma sarà quel pezzo di programma in più a dargli la possibilità di affrontare bene la vita? Hanno vissuto una pandemia! E hanno trovato un modo per gestirla! Che risorse hanno sviluppato per farlo? E noi pensiamo alle conoscenze nozionistiche?