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Gloria Margherita Roberti – Perchè ho scelto di essere ostetrica

Gloria Margherita Roberti è una delle cinque ostetriche di Fondazione Guzzetti.

La conosciamo meglio in questa intervista. Gloria, chi è l’ostetrica?

L’ostetrica è colei che veglia e promuove la fisiologia, cioè l’andamento naturale degli eventi nelle diverse fasi di vita di una donna, dalla pubertà alla fertilità, dalla gravidanza al puerperio, fino alla menopausa. Per questo la troviamo in ospedale, in consultorio e anche nelle scuole. E’ trasversale al femminile, accompagna e supporta la donna in alcuni dei passaggi più importanti della propria vita. E’ presente, ma allo stesso tempo impegnata a rendere la donna pienamente protagonista di questi momenti.

Hai sempre voluto fare l’ostetrica?

A dire il vero no, non mi era chiaro sin da subito. Ho frequentato la scuola media ad indirizzo musicale con un’integrazione sulla disabilità dei non vedenti.

Che scuola particolare!

Sì, aveva un’impostazione molto attenta al sociale, al valore della persona e dell’integrazione. Un’esperienza molto profonda, che mi ha aperto all’accoglienza del diverso. Nel frattempo coltivavo un’altra grande passione, quella per la musica. Suonavo il pianoforte e cantavo in un coro. In terza media ho deciso che avrei fatto il liceo classico, perché ero molto appassionata di epica.

E come sono andati quei cinque anni?

Li ho vissuti con grande fatica e impegno, ma anche altrettanta soddisfazione. Alla fine del liceo mi sono iscritta a Scienze dell’educazione in Bicocca. Parallelamente ho continuato a portare avanti l’esperienza all’interno del gruppo scout in cui sono rimasta fino a dopo la nascita del mio secondo figlio. Sono stata capo scout A.g.e s.c.i., prima con i bambini dagli 8 ai 12 anni, poi nel reparto, il gruppo degli adolescenti (12-16 anni). Lì ho imparato che cosa significa educare, mettersi in rapporto con bambini e ragazzi….

Quindi scienze dell’educazione era la facoltà ideale…

Sì, così mi pareva e infatti ho fatto il primo semestre con grande entusiasmo. I docenti erano molto bravi. Ma, concluso il primo semestre, è successo qualcosa…

Cioè?

Una cara amica di famiglia, ostetrica, che ha assistito alla nascita mia e di mia sorella, aveva una bellissima casa in campagna, vicino a dove noi andavamo nei periodi di vacanza. Sono cresciuta con lei e con i suoi racconti sulle nascite più particolari. Sabina, questo è il suo nome, lavorava in un centro all’ospedale San Paolo che accoglieva le donne migranti. Ricordo ancora i suoi racconti affascinanti riguardo ai gruppi di accompagnamento alla nascita dove queste donne avevano tempo, spazio e modo di vivere la nascita del proprio bambino secondo le proprie tradizioni. E un giorno lei mi disse: perché non diventi anche tu ostetrica?

E come hai cambiato strada?

Inizialmente non è stato facile. Ostetricia è un corso di laurea molto diverso da Scienze dell’educazione. Inoltre dovevo rinunciare ufficialmente agli esami fatti e ricominciare da capo, a partire dal test di ingresso. Allora erano previsti solo 30 posti a Milano. Fu un’estate travagliata, ma ero molto incoraggiata e sostenuta dai miei genitori.

Com’è andato quel test?

Sono arrivata terza. Un segnale evidente che la strada era quella giusta! Ho frequentato Ostetricia in Statale con tirocinio perlopiù presso la Clinica Mangiagalli e l’Ospedale Buzzi. Sono stati tre anni meravigliosi, molto intensi e ricchi. Ho scoperto tutte le sfaccettature di questa professione. Ho deciso di laurearmi con qualche mese di ritardo, per poter fare una tesi impegnativa, sulla percezione della nascita che avevano gli adolescenti tra i 12 e i 17 anni. Ho fatto tantissime interviste aperte, focus group, coinvolgendo anche i ragazzi e le ragazze degli scout.

Una tesi poco medica, ma molto sociale…

Esattamente. Ho portato tutta la mia esperienza in ambito educativo. E ne è proprio valsa la pena!

Dopo la laurea?

Ho ricevuto subito una proposta diversa da qualunque immaginario. L’Istituto Europeo Oncologico stava avviando uno studio sulla vaccinazione per il Papilloma virus. Giovani ragazze diciottenni dovevano essere seguite per cinque anni dopo la vaccinazione. Occorreva fare con loro una consulenza sui primi rapporti, sul pap test, sulla salute del collo dell’utero. Facevo parte di una equipe medica come giovane ostetrica. E partecipavo anche alla formazione interna con colleghe ginecologhe.

Dopo quell’esperienza, hai conosciuto il mondo del consultorio?

Sì, ho vinto un concorso per i consultori pubblici all’interno di ASL Milano. Allora credevo che il lavoro di ostetrica fosse principalmente in sala parto, considerando il consultorio come un’attività meno importante. Mai cosa più sbagliata!

Perché dici che era un pregiudizio sbagliato?

In ospedale mi mancava la possibilità di costruire relazioni continuative con le pazienti. Come professionista, pativo il fatto di seguire le donne e le coppie solo per l’evento parto, per poi non rivederle più. Io invece vivo di relazioni, con molta intensità. Soffrivo molto nel perdere questo rapporto con le neomamme, i neopapà e i loro bambini. Poi quando sono entrata in consultorio, dove ho lavorato per quattro anni ho vissuto un’esperienza bellissima, che mi ha dato la possibilità di costruire relazioni continuative con le mie pazienti, e soprattutto di ricredermi rispetto ai miei pregiudizi iniziali.

Di che cosa ti occupavi?

Mi sono occupata di ambulatorio della gravidanza, gruppi di accompagnamento alla nascita e gruppi dopo parto. Ma anche di consulenza allattamento, pap test, prime consulenze sul pavimento pelvico e di uno spazio per i giovani sulla contraccezione, i primi rapporti, prevenzione alla salute. Noi operatori andavamo nelle scuole, dove l’esperienza nell’ambito dello scoutismo mi è tornata ancora una volta molto utile… Lavoravo in un’equipe interdisciplinare: ginecologa, psicologa, assistente sanitaria, assistente sociale, avvocato.  L’esperienza in consultorio però con mio grande dispiacere si è interrotta con la mia prima maternità.

Perché?

Perché il concorso è stato indetto proprio quando ormai ero al settimo mese di gravidanza di mia figlia Maddalena. Non l’ho vinto ed è stato uno smacco molto forte. Così mi sono concentrata sulla mia prima figlia e anche sulla seconda maternità, arrivata poco dopo. Nel frattempo ho iniziato consulenze in diversi consultori privati accreditati.

Così vieni a conoscere Fondazione Guzzetti…

Esatto. Nel 2015 con la famiglia avviata credevo che l’attività nel consultorio fosse molto adeguata a me. Potevo occuparmi dell’accudimento dei figli e lavorare nel diurno.

 

Nel 2017 arriva anche il tuo terzo figlio, Pietro…

Sì, ricordo di aver lavorato fino al giorno stesso in cui ho partorito. Ero davanti alla scuola dove svolgevo interventi con progetti di educazione all’ affettività e sessualità, ma sono tornata a casa poiché avvertivo le prime contrazioni. E infatti dopo poche ore sarebbe nato Pietro. Ho ripreso a lavorare per Fondazione Guzzetti ad inzio 2020 sia nel comparto scuole che in ambulatorio.

Più che correre a casa, sarai corsa in ospedale…

No, no, proprio a casa. Con mio marito scegliemmo di far nascere i nostri figli a casa. E così è stato!

Com’è l’esperienza del parto in casa?

Sicura e meravigliosa, ma purtroppo la si conosce troppo poco. Io non perdo occasione di far conoscere questa possibilità di nascita alle coppie e alle donne che accompagno in gravidanza.

Che cosa occorre fare oggi in Fondazione Guzzetti, dal tuo punto di vista?

Mantenere la cura nell’accoglienza della persona, come già avviene molto bene: il nucleo famigliare, la coppia, il singolo. La bellezza di Fondazione Guzzetti è il credere nella fisiologia. Il lavoro interdisciplinare è arricchente e formativo. Mi piacerebbe dare più continuità alle equipè tra noi ostetriche e anche con le ginecologhe, per confrontarci e crescere insieme soprattutto adesso che ci siamo avviati verso questa nuova avventura dell’Agenda della Gravidanza.