Incontriamo Davide Baventore, vicepresidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, e operatore presso il consultorio Sant’Antonio di Fondazione Guzzetti.
Con lui affrontiamo tre tematiche in particolare che stanno prendendo piede come tematiche rilevanti in questo periodo immediatamente successivo alla pandemia di Coronavirus: la difficoltà a vivere l’isolamento forzato, la difficile elaborazione del lutto in una condizione così anomala, e il conflitto famigliare spesso sfociato in violenza psicologica e fisica domestica.
L’isolamento forzato ha messo a dura prova tante persone dal punto di vista psicologico. La paura di vivere isolati e la paura di ritornare, nella seconda ondata, a vivere isolati accompagnano molti anche in questi mesi estivi? Come affrontare e vincere paure simili?
Nei mesi di lockdown, abbiamo assistito a tante situazioni, alcune delle quali felici, altre più problematiche.
Anche la paura può avere origini diverse poiché ciascuno di noi ha difficoltà specifiche nello stare da solo: la distanza dalla famiglia, l’assenza di rapporti coi colleghi, la mancanza di occasioni di svago, le prospettive per il futuro, il timore per i propri cari.
Chi convive invece affronta difficoltà relazionali e difficoltà materiali, come la casa poco accogliente e poco consona ad essere abitata in tante persone, l’organizzazione degli orari di lavoro se si hanno figli.
Come sempre succede ciascuno di noi affronta gli avvenimenti con le proprie capacità e fragilità e situazioni come il lockdown possono mettere il luce quelle fragilità per le quali avevamo trovato un equilibrio.
Per prevenire situazioni di paura nella pandemia allora è utile lavorare sulle proprie fragilità preesistenti: ad esempio, persone che hanno difficoltà a socializzare nel lockdown si ritrovano particolarmente soli, e questo potrebbe diventare un buon motivo per lavorare sulle loro capacità di cercare nuove relazioni.
In previsione di una seconda ondata, il consiglio è quello di prepararsi in modo da farsi cogliere di sorpresa. L’isolamento forzato è stato sicuramente disagevole per molti, ma se dovesse tornare, ricordiamo che è un’esperienza che abbiamo già vissuto, non è del tutto nuova.
Occorre organizzarsi per tempo anche dal punto di vista materiale per metabolizzare più facilmente un’eventuale seconda ondata del Coronavirus.
In questi mesi un aspetto particolarmente significativo è stato l’elaborazione del lutto. Come si affronta il lutto in una condizione così particolare, dove è venuto meno il sostegno degli amici, dei parenti, persino delle istituzioni religiose che in queste circostanze in particolare si fanno molto presenti?
Quelli recenti sono stati certamente lutti complicati, per quanto riguarda tutti gli aspetti legati al commiato con la persona che è scomparsa e la possibilità di darle assistenza.
L’assenza di un momento di saluto, che fosse l’occasione per dare una “chiusura psicologica” al rapporto, ha impedito di percorrere le fasi che normalmente si affrontano quando un nostro caro si ammala e – più o meno velocemente – diventa chiaro che potrebbe non farcela.
Nel momento di commiato le persone si dicono cose importanti o si dimostrano affetto e in questo modo hanno l’impressione di essersi “salutati” e questo è un momento simbolico fondamentale.
E’ una ritualità personale, ma anche sociale molto importante.
E’ necessario quindi ora uno sforzo autonomo per ricostruire una narrazione, che piano piano recuperi il senso di quello che è accaduto e permetta a chi è rimasto in vita di recuperare questa dimensione di saluto.
Non c’è una maniera unica, ma tante maniere personali. Per fornire la sensazione positiva di mantenere un canale e di dare vita e sostanza a quell’esperienza che è mancata, può essere utile andare a trovare le persone decedute al cimitero, creare uno spazio su una mensola di casa dove appoggiare una sua foto, sistemare l’album di famiglia. Insomma, riti e azioni che ci aiutano a compensare tutta quell’assenza che c’è stata. Indubbiamente è una situazione difficile, perché il dolore rimane.
Non aver saputo cosa è successo e come è successo, soprattutto se questo riguarda le ultime ore di una persona cara, è estremamente doloroso.
Ma è necessario trovare un modo di fare qualcosa, di dare un senso a questa situazione, agevolando l’elaborazione di questo legame spezzato.
Si tratta di un lavoro a più livelli: personale, intimo, famigliare, sociale, comunitario, fino ad arrivare a un’elaborazione collettiva.
La gestione del conflitto in casa è la terza grande sfida, di fronte alla quale ci siamo trovati nei mesi scorsi e di fronte alla quale è bene prepararsi per i mesi autunnali. Quali buone pratiche mettere in campo?
Diverse sono le condizioni. E il lockdown ha avuto anche effetti paradossali di risoluzione di conflitti famigliari, proprio forzando la convivenza.
E’ difficile avere un monitoraggio preciso dello sviluppo dei conflitti domestici: durante il periodo di restrizioni più rigide, le chiamate di emergenza sono molto diminuite.
La condizione di vivere forzatamente in casa ha fornito anche meno motivi che spesso sono alla base dei litigi. Ma allo stesso tempo indubbiamente la presenza del maltrattante in casa ha impedito alle persone maltrattate di chiamare aiuto liberamente.
A tutti coloro che si dovessero trovare in una situazione di grande rabbia nel rapporto con il partner e sentire impulsi violenti consigliamo di cercare di fermarsi, uscire o trovare un diversivo per evitare di poter passare all’azione.
Se ciò dovesse succedere in un momento di lockdown come quello passato suggerisco di chiamare un servizio di pronto soccorso psicologico per poter elaborare le emozioni, farsi ascoltare e pianificare come farsi aiutare e dove possibile anche separarsi fisicamente dalla persona verso la quale si prova rabbia.
In tempi normali invece è possibile avviare un percorso psicologico personale anche presso le tante strutture consultoriali presenti sul territorio.