Chiara Speranza, mamma di due bambini di 8 e 6 anni, è psicoterapeuta familiare nei consultori Kolbe e Mancinelli di Fondazione Guzzetti.
Con lei parliamo del modo in cui i bambini stanno vivendo questa seconda ondata di Covid.
“La quotidianità dei bambini e dei ragazzi è stata la prima a modificarsi radicalmente, nel momento in cui si è scelto di chiudere le scuole lo scorso anno scolastico. Hanno sentito parlare di Covid dal primo giorno, hanno visto i loro genitori sorpresi e a tratti sgomenti.
Più che la seconda ondata per loro è stato importante il ritorno a scuola, fondamentale per ritornare in un contesto sociale e di apprendimento. Ma nuovamente hanno dovuto attingere al loro senso di adattamento, per adeguarsi ad un sistema scolastico a tutti i livelli molto modificato”.
Quali sono le conseguenze più evidenti per loro, dal punto di vista psicologico?
“I cambiamenti necessari, che si sono intrapresi e che non sempre hanno rispettato i loro bisogni, hanno determinato a volte delle regressioni rispetto alle loro conquiste.
Non dimentichiamo il vissuto di paura che ha aleggiato nell’aria in questi mesi, a volte quasi palpabile.
Ovviamente condiziona anche loro, e se da una parte la paura stessa, emozione fondamentale, li aiuta anche a tutelarsi (i bambini sono più bravi di noi nel tenere la mascherina, si dice spesso ad esempio), li porta anche a chiedere maggiore vicinanza agli adulti che si prendono cura di loro: ci possono essere più richieste di attenzioni.
Ciò che prima era scontato, ora non lo è più.
Chi era autonomo e giocava da solo, ora fa più fatica.
Chi faceva da solo una commissione, ora cerca la figura della mamma.
Ma dall’altra parte, quella stessa paura la respira anche il genitore che può assumere comportamenti più apprensivi nei confronti dei figli”.
Cosa fare affinchè la paura non rimanga nelle loro pance?
“Come dicevo poco fa, è importante che il genitore riconosca il proprio vissuto emotivo per poter entrare in contatto con quello del proprio figlio. Se nostro figlio improvvisamente chiede maggiori attenzioni, chiede più rassicurazioni, o è meno autonomo, ci deve far riflettere su cosa sta succedendo, quale possa essere la causa e come poterlo aiutare. Dando anche voce a quello che succede, esplicitando le fatiche ma puntando anche sulle risorse.
Una pandemia non la avevamo mai incontrata, ma altri momenti difficili, altri cambiamenti sì.
Aiutiamo i bambini a riconoscere le difficoltà, ma anche i punti di forza, quello che magari è già successo in passato e come è stato superato.
Ricordo che una signora mi ha posto proprio questo problema, parlandomi di suo figlio che improvvisamente rifiutava ogni separazione: per andare a dormire, ma anche per entrare in classe. Allontanarsi dalla madre era diventato un problema. Il bambino chiedeva continue rassicurazioni. E’ un segnale evidente di paura”.
Che tipo di paura?
“Paura dell’imprevisto, che succeda qualcosa che cambi le carte in tavola… come in fondo è accaduto in questo periodo”.
E allora?
“In questo caso è entrato in gioco il papà, che ha interrotto la dinamica disfunzionale che si era creata tra le preoccupazioni e il dispiacere materno e la paura del figlio. Il papà ha preso più spazio, ha potuto prenderlo proprio grazie allo smartworking che lo ha visto più partecipe alla vita del figlio e grazie a lui quelle separazioni vissute con paura hanno preso una nuova sembianza. Alla fine la riorganizzazione a cui tutti noi abbiamo dovuto abituarci ci ha permesso anche di appropriarci di tempi che prima non avevamo”.
Come ripartire ora, con l’incertezza quotidiana che viviamo?
“Prendo in prestito alcune parole di Alberto Pellai (medico e psicologo dell’età evolutiva), che rendono bene lo stato in cui siamo e il punto a cui dobbiamo arrivare: «Nessuno, questa cosa, l’avrebbe voluta. Nessuno l’ha cercata. Ma ora che c’è stata, non serve dimenticarla. Serve invece riattraversarla, col potere che ha la memoria di rivivere ciò che è stato, per farne tesoro. Per capire se questo tempo così stropicciato ci ha insegnato qualcosa. Questo è quello che fa la storia. Tiene traccia di tutto. E lo trasforma in memoria. Permettendoci di imparare. Per tenere tutto ciò che serve. E non ripetere ciò che invece è stato fonte di un dolore sterile. Perché il dolore può essere anche fertile. Quando il dolore si fa fertile, non solo c’è elaborazione. C’è anche evoluzione». Se pensiamo che, dimenticando tutto, tornerà il mondo che abbiamo vissuto fino all’anno scorso, ci sbagliamo di grosso. Facciamo tesoro di quello che abbiamo vissuto, ricordiamoci le risorse che siamo stati in grado di far emergere e i problemi che siamo riusciti ad affrontare. Riconoscendo anche le fragilità, certo, e se necessario chiedendo aiuto. E il futuro sarà più bello”.