Oggi incontriamo Marzia Locatelli, psicologa e psicoterapeuta di Fondazione Guzzetti.
Marzia, hai sempre desiderato essere psicologa?
È sempre stata una cosa che sentivo sin da molto piccola. Ricordo che già alle medie, quando dovevo scegliere le scuole superiori, io già sapevo la mia direzione. Ero molto brava a scuola, così i miei genitori mi hanno iscritta al liceo scientifico. Col senno di poi è stata una scelta ottima.
In che senso?
È stato molto più facile studiare all’università. Avevo un metodo di studio efficace.
Dove hai studiato Psicologia?
Ho fatto la triennale in Cattolica a Milano. Poi ho preso sei mesi di pausa prima di iscrivermi alla magistrale che ho svolto a Brescia.
Perché Brescia?
Perché lì ho trovato il corso di psicologia degli interventi clinici nei contesti sociali, a Milano non c’era. Questo corso era più variegato e racchiudeva diversi ambiti di mio interesse, tra cui psicologia di comunità e psicologia del lavoro. E in secondo luogo volevo sperimentare la possibilità di uscire di casa. Avevo 22 anni. È stata un’esperienza molto formativa dal punto di vista formativo ma anche personale.
A Brescia hai conosciuto un docente che ti ha introdotto al mondo dell’assessment e dei test psicologici.
Sì, il professore Filippo Aschieri. Grazie a lui ho frequentato un corso di perfezionamento per imparare a somministrare e interpretare i test. E nel frattempo ho conosciuto Lavinia Salvadori, operatrice di Fondazione Guzzetti, che mi ha introdotto al mondo degli adolescenti e all’ambito peritale. Questo intreccio di combinazioni ha fatto sì che entrassi nel mondo dei test rivolti agli adolescenti e ai giovani adulti. Ho finito l’anno di tirocinio a Treviglio e sono tornata a casa, in provincia di Varese.
Ma la passione nei confronti del pianeta adolescenti continua e il legame con Lavinia perdura…
Esatto, Lavinia ha influito su alcune mie scelte di vita, tra cui quella di lavorare proprio in Fondazione Guzzetti. Ma prima frequento la scuola di specializzazione Sipre (Società Italiana di Psicoanalisi della Relazione).
E com’è andata?
All’inizio è stata molto dura, perché ha ribaltato tutto quello che avevo imparato fino a quel momento. Per i primi due anni ho fatto davvero fatica. Poi ho capito e mi sono rivista molto nell’approccio, nella tecnica, nella metodologia. Ho compreso che non avrei potuto fare scelta più azzeccata.
Con la scuola di specializzazione è necessario un tirocinio. È così che conosci Fondazione Guzzetti?
Sì, sempre tramite Lavinia. Negli ultimi due anni di scuola, ho svolto il tirocinio in Fondazione Guzzetti, presso il consultorio Restelli, tra il 2018 e il 2020. Sono entrata nel vivo della professione. Alla fine del mio percorso ho conosciuto poi Valentina Indulti e Ilaria Cortinovis, due operatrici della Fondazione, che mi hanno proposto di restare in consultorio alla fine del tirocinio e mi hanno coinvolta nel progetto Supekalifragilisti. Sono persone stupende che sin dal primo momento mi hanno fatta sentire parte integrante del team.
In che cosa consiste il progetto?
Azioni di intervento nelle classi, a scuola. Ma anche formazione con gli insegnanti. (Per saperne di più, clicca qui)
Che cosa significa lavorare in consultorio da un punto di vista professionale?
Non sentirsi mai soli. La formazione non è mai finita e lavorare in consultorio ti permette di lavorare in un team di persone che come te camminano e migliorano giorno dopo giorno. Essere uno psicologo in formazione mette in discussione tutto, ma in consultorio ti senti ascoltata e rispettata, sia da tirocinante che da operatrice.
Oltre al consultorio, la tua vita professionale si svolge anche in altri luoghi…
Sì, lavoro come educatrice in una comunità residenziale ed educativa per adolescenti. Il mio interesse per gli adolescenti e il nucleo famigliare aumenta col passare del tempo.
Di che cosa hanno bisogno oggi gli adolescenti?
Di qualcuno che li ascolti e non che dica loro semplicemente quello che devono fare. Lavorare in una comunità mi ha dato modo di conoscere a 360° la realtà degli adolescenti. Sono molto aperta nei loro confronti. Mi piace coglierne tutte le sfaccettature. Grazie a questa conoscenza approfondita, mi pongo molto diversamente nei loro confronti, anche come psicoterapeuta.
Che ruolo hanno i consultori in una città come Milano?
I consultori sono fondamentali per il modo in cui osservano la città. Focalizzano la loro attenzione sul bisogno. Questo non sempre si traduce in maniera eccellente nell’intervento. Ma capire il bisogno della popolazione è già una cosa enorme.
Si potrebbe implementare la visibilità dei consultori e far capire alle persone che cos’è un consultorio?
Certo, anzi è fondamentale. Da parte dei cittadini c’è una dis-percezione della risposta al bisogno che ognuno ha. Sento tante persone dire: “Vorrei intraprendere un percorso, ma costa troppo, ci sono lunghe liste d’attesa”. Questo perché non conoscono la realtà dei consultori. Manca un anello di congiunzione tra la richiesta della popolazione e la risposta che viene fornita.
Problema di informazione o retaggio culturale?
Forse entrambi. I bisogni psicologici sono sempre passati in secondo piano. La pandemia però ha accorciato le distanze. La gente si è fermata, ha capito che – oltre alla frenesia delle giornate – ci sono altre cose su cui concentrarsi: la salute mentale, il benessere psicologico, l’equilibrio.