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Melania Cuzzola – “Da psicologa lavoro con le ostetriche per accompagnare le neomamme”

Incontriamo Melania Cuzzola, psicologa e psicoterapeuta del consultorio San Cristoforo.

“Ho studiato psicologia dello sviluppo e della comunicazione presso l’Università Cattolica a Milano e poi alla magistrale psicologia dello sviluppo e tutela dell’infanzia. All’inizio la mia idea era di approfondire aspetti legati ai bambini e, dopo la magistrale, di lavorare all’interno del mondo della tutela minori, forse perchè da bambina ho passato molte ore del mio tempo nel palazzo di giustizia dove lavorava mia madre, e dunque mi è sembrato facile entrare in un mondo di confine con quello giuridico. Ad ogni modo, la mia “vocazione” – se così vogliamo chiamarla – è sempre stata quella di lavorare in ambito clinico. All’inizio ero più orientata sui bambini, poi nel corso del tempo ho sentito una profonda sintonia con l’impostazione clinica di ottica relazionale”.

Il post laurea quindi è stato focalizzato sui minori?

“Sì. Ho lavorato un anno nel servizio di tutela minori di un Comune e, durante gli anni della scuola di specializzazione, in alcuni centri diurni che accoglievano minori con problematiche di natura psico-sociale”.

Torniamo al corso di laurea…

“All’interno della laurea magistrale ho fatto uno degli incontri importanti della mia vita professionale; ho incontrato un maestro, Stefano Cirillo, uno dei co-direttori della scuola di psicoterapia che poi ho frequentato dopo la laurea, la scuola Mara Selvini Palazzoli, di orientamento sistemico relazionale. La scuola di psicoterapia ha rappresentato sicuramente l’esperienza professionale e umana che mi ha cambiato di più e che ha inciso profondamente sulla terapeuta e la persona che sono oggi”.

 

Come hai conosciuto Fondazione Guzzetti?

“Ho iniziato il tirocinio di specializzazione per diventare psicoterapeuta presso il consultorio Kolbe; sono entrata così nel mondo del consultorio. E’ proprio nel lavoro in consultorio familiare che ho capito che potevo valorizzare al meglio la mia impostazione relazionale, e ciò al di là che mi stessi occupando di una persona, di un bambino, di una coppia o di una famiglia. Alla fine della specializzazione sono rimasta a lavorare nel consultorio Kolbe”.

In che modo, secondo te, la pandemia del Covid ha condizionato le nostre relazioni?

“La pandemia è stata ed è tutt’ora un’esperienza molto sfidante per il genere umano; oltre a sollecitare sensazioni di vulnerabilità e di pericolo, ci ha impoverito dal punto di vista delle relazioni. L’isolamento è stato un fattore di stress per il fatto che, come esseri umani, abbiamo una forte spinta a ricercare la vicinanza fisica delle persone per noi più significative nei momenti di difficoltà. Abbiamo, in altre parole, un bisogno profondo di essere in relazione, di vivere i nostri legami significativi ancora di più quando siamo vulnerabili, e dunque abbiamo dovuto affrontare la pandemia privi della nostra risorsa più preziosa. Dobbiamo oggi adattarci al mondo che abbiamo trovato dopo il lockdown, che non è certamente quello che abbiamo lasciato a febbraio 2020. Stiamo vedendo nei consultori ormai da diversi mesi un altissimo aumento della domanda di aiuto”.

Tenere la distanza è qualcosa che ti preserva, ma nello stesso tempo non puoi fare a meno della connessione con gli altri…

“Esattamente. Molti hanno fatto fatica a contro-adattarsi al mondo che hanno ritrovato e rimangono in una condizione di isolamento ancora oggi. Altre criticità riguardano i conflitti, il lutto, i temi di ansia e di panico, la depressione e la difficoltà di pensare il futuro – soprattutto per i giovani. C’è anche chi ha reagito negando il Covid, o negando la possibilità che un virus possa essere così lesivo e possa renderci vulnerabili”.

Nel corso degli anni hai sviluppato anche una competenza sulla psicotraumatologia…

“Sì, dopo il diploma di specializzazione e la qualifica di psicoterapeuta, ho approfondito il tema dell’impatto del trauma sulla persona. In quegli anni ho cominciato a lavorare presso il consultorio San Cristoforo (ex C.A.Me.N), un consultorio diverso da Kolbe, perché più focalizzato sulla alla nascita e la neo-genitorialità, sia sotto il profilo sanitario che psicologico. Nel tempo ho quindi approfondito i temi della psicologia perinatale, e sono stata introdotta in una serie di servizi molto interessanti”.

Ad esempio?

“In primo luogo lo spazio dii sostegno al post nascita “il cerchio delle mamme” condotto assieme alle colleghe ostetriche; incontri di gruppo su temi importanti in questa fase del ciclo di vita, come i bisogni del neonato, gli equilibri familiari, la trasformazione della coppia – da coniugale a genitoriale – o il tema del distacco”.

Che ruolo ha la psicologa in questi casi? Non basta l’ostetrica?

“L’ostetrica è fondamentale, ma il ruolo della psicologa lo è altrettanto, sia rispetto al sostegno ma anche in un’ottica di prevenzione e di intercettazione precoce del disagio. Le neomamme spesso accedono ai gruppi soprattutto spinte da necessità di natura ostetrica, ad esempio difficoltà nell’allattamento o di crescita del neonato… arrivano concentrate sul bambino, ma poi trovano un sostegno emotivo per loro, uno spazio di confronto e di conforto sulle difficoltà dell’accudimento non solo da parte delle esperte ma anche delle altre mamme. Ecco, la psicologa promuove la risorsa del gruppo, sostiene la mamma e capta anche molto precocemente alcune difficoltà che può incontrare nel corso dei primi mesi che, se non intercettate, possono nel tempo impattare sul bambino”.

Come la depressione post parto?

“Sì, ma non solo. Anche difficoltà di natura ansiosa oltre che depressiva possono fortemente incidere sulla relazione di attaccamento, sulla capacità della mamma di entrare in sintonia con i bisogni del suo bambino o di rispondervi adeguatamente. Psicologa e ostetrica intervengono insieme, anche utilizzando la forza del gruppo e, laddove necessario, promuovono percorsi individuali. E’ fondamentale consentire alle mamme di parlare del parto, perché nel caso in cui abbia avuto delle connotazioni traumatiche, queste possono interferire con l’accudimento quotidiano e con la qualità della relazione. Mi piace molto accompagnare le neomamme; aiutarle a costruire un legame sicuro ed una profonda connessione con il loro bambino significa modificare una traiettoria evolutiva in positivo. Visto il profondo impatto che la qualità dei legami primari ha sulle persone, aiutare una mamma significa aiutare anche il suo bambino; questo non può che darmi molta soddisfazione”.

Traumatologia unita all’esperienza perinatale fa pensare anche a una competenza nell’accompagnare coppie che perdono un figlio in gravidanza…

“Sì, è capitato di accompagnare coppie che hanno perso il bambino durante la gravidanza oppure che hanno avuto un inizio in salita come, ad esempio, complicazioni durante il parto, nascite premature, o comunque situazioni in cui si vive una intensa preoccupazione per la vita e la salute propria o del proprio piccolo nonché una separazione prolungata da lui. In questo periodo, stiamo anche aiutando le mamme che hanno partorito ai tempi del coronavirus, con tutto ciò che ha comportato in termini di rischi per la salute e di solitudine”.

Tutti aspetti che nel consultorio San Cristoforo vengono affrontati da un’equipe di professionisti?

“Sì assolutamente. Non possiamo pensare di vivere un luogo come il consultorio senza unire le forze. Il consultorio deve essere – ed è a tutti gli effetti – un luogo di accoglienza, dove le donne possono essere prese in considerazione da ginecologa, ostetrica, psicologa, assistente sociale, per offrire il meglio”.