Oggi incontriamo Paola Torriani, psicologa e psicoterapeuta di Fondazione Guzzetti.
Dopo essermi diplomata al liceo scientifico, ero indecisa se frequentare Medicina (in particolare, pediatria) o Psicologia. Guidata dagli eventi e dal destino ho intrapreso la strada di Psicologia…. Ho frequentato il ciclo unico di cinque anni con orientamento in psicologia sociale e dell’età evolutiva e nel 2002 mi sono laureata, specializzandomi sul cambiamento grafico del bambino. Erano gli anni del crollo delle torri gemelle e dell’incidente aereo al grattacielo Pirelli; i bambini della scuola dell’infanzia erano stati particolarmente colpiti da questi due eventi e avevo studiato su di loro come questi drammi avessero condizionato il loro tratto grafico.
Che argomento interessante! Come è proseguita la tua formazione?
Ho svolto il tirocinio in una UONPIA (Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Niguarda) dove seguivo i primi colloqui con i genitori dei piccoli pazienti, insieme alla psicologa di riferimento. Ho fatto l’esame di stato e mi sono iscritta ad una scuola di specializzazione di orientamento cognitivo comportamentale. Ho iniziato a lavorare con adulti e adolescenti, spostando il mio raggio d’azione.
Come hai capito che questa sarebbe stata la tua strada?
Ricordo che ero all’inizio della mia carriera professionale ed avevo presentato un caso in supervisione. Una mia collega, più anziana di me, mi ha fatto recapitare un biglietto, alla fine della riunione, dove mi chiedeva di non perdere mai la voglia di aiutare gli altri, con l’entusiasmo che avevo. Avevo iniziato la scuola di specializzazione da un paio di anni, ho capito che ero sulla strada giusta.
Come hai conosciuto i consultori di Fondazione Guzzetti?
Ho avuto la fortuna di iniziare a lavorare presso il consultorio Kolbe nel 2006, quando facevo ancora tirocinio in un ambulatorio dell’ospedale Bassini. In consultorio ho cominciato ad affiancare una collega durante i primi colloqui per poi iniziare a seguire gli utenti ed essere coinvolta nel gruppo di operatori.
Che tipo di esperienza è stata?
Mi ritengo molto fortunata anche perché il mondo dei consultori ha sempre fatto parte della mia vita. Da ragazza abitavo in zona piazza Udine, vicino al consultorio di Mancinelli, che fa parte anch’esso di Fondazione Guzzetti e dove attualmente lavoro. Frequentavo la Parrocchia e ricordo che il sacerdote durante la Messa parlava dei consultori, sostenendo questa realtà preziosa per il nostro territorio.
Com’è il tuo lavoro oggi?
Lavoro con casi individuali rispetto a disturbi d’ansia, depressione e difficoltà relazionali. Alterno la mia presenza nel consultorio di Mancinelli e in quello di San Cristoforo, diventato da un anno il settimo consultorio gestito da Fondazione Guzzetti. Parte del mio tempo è dedicato alle scuole, dove svolgo diversi tipi di percorsi come quello riguardante l’ affettività e la sessualità, il miglioramento delle relazioni all’interno del gruppo classe, l’aspetto emotivo ed empatico, in tutti gli istituti di ogni ordine e grado, dalle elementari alle medie e alle superiori.
Il lavoro nelle scuole è molto articolato. Richiede un grande impegno di squadra e di coordinamento…
Sì, questa è decisamente la grande potenzialità e il motivo per cui non mi stanco mai di fare questa professione. C’è sempre da imparare da colleghi, insegnanti e studenti e mi offre sempre una prospettiva differente. Adoro il confronto e scoprire la bellezza nel trattare argomenti in modo diverso, grazie a un’apertura sincera.
Riusciresti a fare a meno del lavoro nelle scuole?
Non credo, mi piace alternare la clinica al “mondo scuole”. Amo lavorare nei gruppi di bambini o ragazzi su tematiche diverse, dalla sessualità al bullismo, alla gestione del conflitto…
Anche in consultorio, nella gestione dei casi, è sempre previsto un confronto tra gli operatori, giusto?
Sì, sempre. L’equipe è il vero valore aggiunto del lavoro in consultorio; un momento prezioso, a cui non potremmo rinunciare. Ci confrontiamo sui casi, sulle storie, sulle modalità di approccio e si impara, incredibilmente, da chiunque offra un proprio contributo, anche l’ultimo arrivato. Non importa: c’è ricchezza e occasione di riflessione, sempre.
Far parte di una Fondazione arricchisce ancora di più questo aspetto?
Appartenere è fondamentale e “sentire di appartenere” è un grande dono; sapere di avere valori condivisi consente di lavorare meglio. Nella vita ho fatto molto volontariato e tante esperienze formative, dove ho capito che il senso di appartenenza non è chiusura, ma stimolo a fare sempre meglio, perché si ha la consapevolezza di non essere soli.