Un anno di pandemia. E’ possibile fare un bilancio degli ultimi dodici mesi?
Ora, dal punto di vista psicologico, la situazione è più o meno grave rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso?
Lo abbiamo chiesto a Michele Rabaiotti, direttore di Fondazione Guzzetti, che comprende sei consultori nella città di Milano.
L’aspetto che rileviamo, da un punto di vista psicologico, è le cose sono più complicate oggi di ieri. Soprattutto su una fascia di popolazione, gli adolescenti. In generale il tema più serio, però, è quello della sfiducia che si somma alla stanchezza.
Cioè?
Prima c’era un miraggio di uscita, una dimensione di confinamento temporaneo della pandemia e invece oggi ci rendiamo conto che quella che viviamo è una condizione perdurante e non si vede la fine a breve termine.
Questo che cosa produce nelle persone?
Questa condizione disabilita la speranza e rischia di spegnere i sogni per il futuro. Da un’analisi delle problematiche emerse dagli utenti che chiedono aiuto ogni giorno ai nostri consultori, l’impatto più forte è sulla capacità di programmazione e progettualità di vita.
Immaginiamo allora le conseguenze nella vita dei giovani…
Esattamente. Chi è in una fase molto aperta sul domani, come i giovani, sta guardando a un futuro molto incerto e anche difficilmente leggibile.
Quali sono altri elementi significativi che avete rilevato?
Osservando il numero di accessi ai nostri consultori dopo l’estate, a partire da settembre 2020, quando abbiamo riaperto alle consulenze in presenza, sono aumentate le richieste d’aiuto per minori e le coppie che si stanno separando. Queste sono le due grandi emergenze a Milano. Ne aggiungo una terza in prospettiva, guardando il panorama sociale che ci aspetta, ossia il tema della disoccupazione – soprattutto femminile – e delle sue conseguenze.
È di qualche giorno fa la notizia che su 101mila disoccupati 99mila sono donne.
Ho avuto la pelle d’oca quando ho letto quel dato. Questo è un aspetto che avrà una forte ricaduta sui consultori nel medio-lungo termine, ma si preannuncia un problema gigantesco sulla tenuta economica, sociale e psicologica delle persone. Chi sta già pagando il prezzo più pesante è senza dubbio il mondo femminile, per via di un impianto culturale in cui la donna ha ancora una responsabilità sbilanciata sulla cura famigliare.
La recente chiusura forzata di tutte le scuole, a partire dalle scuole dell’infanzia, metterà ancora più a dura prova la resistenza delle donne nel mondo del lavoro?
Devo tristemente rispondere di sì… Considerando soprattutto le posizioni precarie e i contratti a tempo determinato, si verificherà una fuoriuscita massiccia di persone dal lavoro. E, come dicevo, il prezzo più pesante ricadrà sulle donne, le prime a sobbarcarsi i compiti di cura familiare. Qualcuno, ne sono sicuro, commenterà che si tratta di scelte di auto-esclusione, ossia di donne che deliberatamente sceglieranno di rinunciare al lavoro per occuparsi dei figli. Ma è una lettura semplicistica! La verità è che molte donne hanno un forte desiderio di realizzazione professionale, ma si trovano costrette a rinunciarvi per la pressione sociale e l’aspettativa culturale sui ruoli di genere.
I consultori di Fondazione Guzzetti sono sempre aperti. Lo sono stati anche nel periodo più difficile della pandemia, quello iniziale. E ora garantiscono i propri servizi sia in presenza che da remoto.
Certo. In quanto servizio di utilità pubblica, i nostri consultori non hanno mai chiuso e non si sono mai sottratti ai nuovi bisogni. Questo è accaduto grazie alla capacità straordinaria degli operatori e dell’organizzazione nel suo complesso. Ci siamo riposizionati creativamente, adeguandoci ad aspetti di carattere normativo molto stringenti, ma anche a uno scenario che non consentiva più di fare tutto quello che si faceva prima. La modalità da remoto ha garantito la possibilità di offrire continuità di servizio, ma ha richiesto molti sforzi.
Che cosa avete rilevato come apprendimento di queste nuove formule? Il bilancio è positivo o negativo?
Abbiamo sicuramente imparato che, nonostante una certa diffidenza iniziale, il lavoro da remoto con gli utenti si è rivelato una possibilità altamente efficace in tantissime situazioni. In secondo luogo, gli aspetti di maggior fruibilità e facilità di accesso hanno dato una spinta notevole a creare gruppi online, ampliando il pacchetto di offerta. Se devo pensare invece agli aspetti negativi, dobbiamo ammettere che il contesto tecnologico divide: esiste una fascia di popolazione che per carenza di mezzi o di attitudine all’utilizzo si è trovata ancora più sola.
Esistono anche limiti obiettivi del mezzo tecnologico?
Assolutamente sì. Alcune forme di terapia non sono praticabili da remoto perché necessitano di una relazione in presenza. Penso ad alcune situazioni di utilizzo dell’EMDR (una tecnica per la risoluzione dello stress post-traumatico) o a tutte quelle persone che non possono collegarsi da casa mantenendo uno spazio di privacy.
Un altro grande aspetto da tenere in considerazione riguarda il mondo della scuola. Com’è cambiato il lavoro degli operatori di Fondazione Guzzetti nelle scuole di Milano?
Le scuole sono state la “croce” del 2020: un mondo che Fondazione Guzzetti ha sempre vissuto con grande passione e attenzione si è letteralmente “congelato” per mesi. Aver perso tanto tempo nell’avvicinamento ai ragazzi e alle ragazze nelle scuole è motivo di grande dispiacere per noi. Dobbiamo riconoscere che non c’è stata continuità. Ma adesso c’è un grande sforzo di riprendere i rapporti anche progettando formule nuove con interventi nelle classi da remoto. Gli studenti ci stanno troppo a cuore per arrenderci alle difficoltà di questa fase. La scuola è una nostra priorità, nonostante tutti i cambi di colore a cui siamo costretti.