La storia
«Questa volta, voglio tenerlo! È mio figlio. Anche se Riccardo non vuole saperne nulla, io ci sono e non voglio perderlo, non più». Con copiose lacrime che le rigano il volto e la voce incrinata, Melissa, una giovane ragazza di 17 anni, sveglia e minuta, non mostra alcuna esitazione: la nuova creatura che sta crescendo nel suo grembo non potrà non vedere la luce.
I genitori, ai quali ha rivolto il suo struggente appello, restano increduli e allibiti. Non solo per la sua schietta determinazione nel comunicare una scelta così importante, ma anche perché non si sarebbero mai aspettati una seconda gravidanza nel giro di un anno.
La prima gravidanza, ad appena 16 anni, era stata traumatica per Melissa e tutta la famiglia: genitori, fratello e sorelle compresi. Un fulmine a ciel sereno, un’inattesa cascata di acqua gelata, un insostenibile coagulo di emozioni.
«Perché? Come è potuto accadere? In cosa non siamo stati chiari?», continuavano a ripetersi la madre e il padre, preoccupati per il futuro della loro figlia. E così, appena trascorso il tempo di accettare un aborto, fino in fondo motivo di sofferenza e unica scelta in quel momento concepibile, Melissa torna con la stessa e identica dinamica: un rapporto sessuale non protetto vissuto con un ragazzo, con cui non manteneva un legame affettivo stabile, e la scoperta, qualche settimana dopo, di essere nuovamente in stato interessante.
Panico totale. Melissa, però, non si perde d’animo e crede opportuno informare i genitori. Raccoglie tutto il coraggio che ha in corpo e li affronta. Non ipotizza in alcun modo l’interruzione della gravidanza. Suo figlio verrà al mondo e lei si occuperà della sua crescita. Ha deciso così, poco importa l’assenza del padre del bambino, il cui silenzio è assordante. Lei c’è e ci sarà. Anche a costo di mettere a repentaglio la scuola, essendo all’ultimo anno delle superiori.
Per i genitori, Silvio e Cecilia, entrambi cinquantenni e impiegati in azienda, la seconda volta, ovvero la notizia della nuova gravidanza, è stata ancora più dura da accogliere. Nella loro mente si sono affastellati da subito mille pensieri, accompagnati da altrettante ansie e paure, oltre che da un profondo senso di vergogna. L’arrovellare continuo affacciatosi nelle loro menti, impastato a forti sbalzi di umore, li porta a non darsi pace.
A 17 anni non si è molto più responsabili dell’anno precedente. O forse sì?
Magari non se ne sono accorti, e, in effetti, qualcosa è cambiato nella loro figlia. Sarà cresciuta. Ormai viaggia verso la maggiore età. Forse vuole sfidarli, mettendo alla prova la sua libertà? Oppure tenta di acquistare uno spazio differente all’interno del nucleo familiare? Magari distinguendosi dalla sorella gemella, Claudia, sempre precisa in tutto, molto brava a scuola, piena di amici e di attività, a cui spesso i genitori la paragonano.
Anzi, a dire il vero, tutta la famiglia, il fratello e le sorelle incluse, senza volerlo, accentuano questa non somiglianza e pongono un confronto continuo tra chi riesce nella vita raggiungendo dei buoni risultati, e chi, come lei, con il suo essere diversa, sregolata, eccentrica, anche se piena di vitalità, «non ne fa mai una giusta»: a casa, a scuola, con gli amici, con i ragazzi.
Ma come può, Melissa, mostrare la sua maturità? Rifacendo lo stesso errore? Non ascoltando le loro indicazioni su come gestire l’intimità e le relazioni con l’altro sesso? Quasi a chiedere un riconoscimento alla sua emancipazione, al suo essere ciò che è, alle sue scelte personali?
Non è semplice, per le madri e per i padri, decifrare queste sfumature e questi slittamenti evolutivi, così come non lo è per gli stessi adolescenti, specie quando sono implicati in un periodo della crescita così ricco di fluttuazioni emotive e caratteriali. E, adesso, Melissa prorompe con un grido di dolore e una decisione inappellabile. Lo stordimento è tale da far sgorgare una richiesta di aiuto confusa, multipla. Cosa fare? A chi rivolgersi? Chi soffre di più? Dirlo o non dirlo a tutti, figli e parenti? Cosa si può scatenare? E il bambino in arrivo, può crescere senza un padre, senza la stabilità emotiva e affettiva di una famiglia? La crisi ha preso il sopravvento. La famiglia intera vive una stagnazione, una sorta di blocco. Due le strade che si profilano all’orizzonte: 1) restare ingabbiati a crogiolarsi nei limiti e nelle sofferenze legate alle difficoltà oppure 2) intraprendere un cammino reattivo, di messa in discussione degli schemi abituali di relazione, di accoglienza ed elaborazione degli elementi di novità per avviare una fase di rilancio.
In questo articolo presentiamo il percorso clinico che ha accompagnato l’intera famiglia: Melissa, i suoi genitori, le tre sorelle e il fratello. Proveremo a esplicitare le strategie elaborate per l’accoglienza e l’analisi della domanda iniziale e la struttura dell’intervento terapeutico che l’équipe multidisciplinare del Consultorio familiare “Centro di Assistenza La Famiglia Ambrosiana” ha approntato per rispondere alla richiesta di aiuto dell’intero nucleo, sottolineando la ricchezza di diversi approcci terapeutici. In modo particolare: l’approccio umanistico rogersiano, quello sistemico-relazionale, e, infine, quello elaborato dalla scuola gestaltica. Uno scambio teorico e pratico proficuo, che ha impegnato diversi professionisti, facendo maturare l’idea che una prospettiva clinica integrata possa rivelarsi di grande aiuto e sostegno al disagio familiare.
Il filo conduttore con cui ci muoviamo nella storia di Melissa è duplice: l’attesa e la nascita. Un percorso fisico e simbolico che mette a tema, in primo luogo, la gravidanza di Melissa, intesa come periodo intenso e drammatico di attesa e di crescita, non solo della pancia e del feto, ma anche delle emozioni, dei pensieri, delle scelte, dei comportamenti di tutte le persone coinvolte; e, in seconda battuta, la preparazione all’imminenza della nascita del bambino, alla sua accoglienza all’interno della grande famiglia, all’accoglienza di Melissa nel suo nuovo ruolo di madre, senza dimenticare, allo stesso modo, la rinascita di tutti i legami familiari: tra genitori e figli, tra sorelle e fratelli, tra nonni, zii e nipote. Non ultimo, tra il padre del piccolo e tutti gli altri. Una figura i cui contorni si sono definiti strada facendo, a piccoli passi.
Dallo sportello scolastico al consultorio familiare.
Una prima opportunità di sblocco viene colta a scuola. Qui Melissa, a seguito di un confronto con l’insegnante di lettere, interpella volontariamente il servizio di sostegno e parla a lungo con la psicologa dello sportello. Quest’ultima si mette a sua completa disposizione, garantendole un ascolto attento ed empatico. Abbandonandosi gradualmente, Melissa snocciola i punti salienti della sua storia: in modo particolare, la decisione di tenere il figlio e l’esigenza di poter dialogare serenamente con la sua famiglia.
La sedicenne riferisce anche l’episodio doloroso della prima gravidanza (che, a suo modo, lega allo stato attuale con forti sensi di colpa), sottolineando come fosse giunta terrorizzata alla scelta di abortire: «In quel momento vedevo questa come unica possibilità. Avevo troppa paura». Scelta puntualmente disapprovata dai suoi genitori, i quali, venendo a conoscenza della nuova gravidanza, hanno cominciato a ribadirle: «Almeno adesso fidati di noi, prendi la decisione giusta e dallo in adozione. Starà meglio con una coppia salda e motivata di sconosciuti, piuttosto che con te, che sei una zattera in mezzo al mare, sola, senza un uomo che ti sostiene».
Dalle parole e dai racconti dettagliati dell’adolescente si coglie il grande imbarazzo nutrito dai genitori. Non sanno bene come affrontare quello che sta accadendo. Ma si mostrano subito disponibili a mettersi in gioco per il bene della loro figlia.
Incoraggiati dalla psicologa scolastica (che li ha incontrati subito dopo i primi colloqui con la loro figlia), i genitori raggiungono il consultorio familiare e ai due consulenti familiari (dei quali, uno è psicologo clinico e l’altra counsellor) formulano una richiesta di aiuto che, secondo il loro punto di vista, risulta chiara e facilmente attuabile: «Siamo profondamente addolorati. Ci chiediamo come fare ad avviare un confronto con nostra figlia. Abbiamo timore a parlarle, è sempre così aggressiva. Tra l’altro, stiamo trascurando le altre tre figlie e l’unico figlio maschio. Per ora lo hanno scoperto, per caso, durante una nostra conversazione, Claudia, la sua gemella, e la più piccola, la tredicenne Roberta. Di fondo, noi sicuramente accettiamo l’idea che Melissa tenga il bambino. Siamo contenti che non si consumi un altro aborto, come è stato per la precedente esperienza. Ma ci poniamo tanti interrogativi sul suo futuro. Ce la farà? Come lo crescerà, senza un lavoro e un compagno? E la scuola? Ecco perché crediamo sia il caso che dia il piccolo in adozione. Lei porta avanti la gravidanza, e nel frattempo prendiamo contatti con l’Ente Nazionale. Al momento della nascita potrà tranquillamente sistemarlo in un’altra famiglia. Glielo avevamo suggerito anche la prima volta, ma si è intestardita e ha abortito».
La loro domanda di aiuto portata al Consultorio è netta: vogliono essere aiutati a convincere la figlia a dare in adozione il nascituro. I due consulenti familiari, dopo aver ascoltato a lungo i reciproci vissuti e le attese di coppia genitoriale, e dopo aver facilitato la libertà delle loro espressioni emotive e garantito una totale accettazione del loro punto di vista, portano la sintesi del colloquio con i genitori in équipe.
Dopo una lunga discussione e un accurato confronto multidisciplinare con i professionisti dell’équipe del Consultorio, la responsabile sintetizza l’indirizzo terapeutico condiviso per l’intero nucleo familiare: tutto il processo si avvia con un unico incontro esplorativo e di confronto che vede insieme i genitori (Silvio e Cecilia) e Melissa. Successivamente, la stessa Melissa viene affidata ad una psicoterapeuta di approccio gestaltico, con cui si focalizza sul suo vissuto personale, sui disagi sperimentati con la famiglia (e, in modo particolare, con i genitori), sulle fantasie legate alla gravidanza e alla maternità.
La coppia di genitori è, invece, presa in carico da una psicoterapeuta sistemico-relazionale e da uno psicologo clinico, specializzato nell’Approccio Centrato sulla Persona (ACP), i quali lavorano sui legami, sulle difficoltà di comunicazione tra genitori e figlia, sull’accettazione della gravidanza e sulla volontà espressa da Melissa di tenere il suo bambino.
Si prevede, inoltre, la realizzazione di una serie di incontri (da svolgersi prima del parto) con tutto il nucleo familiare (Melissa, i suoi genitori, le sue sorelle e suo fratello) per favorire l’elaborazione dei vissuti familiari e la «ri-comprensione» di Melissa all’interno del nucleo.
Sarah Pedrazzi
Dopo l’intero percorso clinico, ci siam0 accorti che attraverso questa gravidanza è avvenuta una vera e propria trasformazione e rinascita relazionale a livello familiare: «La famiglia, infatti, è intesa come ambiente, un luogo in cui i suoi membri, in quanto organismi, imparano modalità di essere-con, in cui l’intenzionalità di raggiungere l’altro può essere vista e apprezzata oppure può essere mortificata, al punto da creare una sofferenza insopportabile, che sotto certe condizioni, porta la famiglia in terapia. A quel punto (come in questo caso, ndr), la famiglia è anche un organismo unico che chiede aiuto all’ambiente andando in terapia, che si mostra al terapeuta nella sua gestalt globale, come una musica stonata che cerca la propria armonia, in modo tale che tutti i membri possano suonare la propria musica creando una gestalt familiare armonica»[2].
Dopo la nascita del bambino, i feedback e gli aggiornamenti che abbiamo ricevuto dalla famiglia sono stati positivi e gratificanti: un affetto smisurato per il bambino da parte di tutti i familiari, Melissa a suo agio con il nuovo ruolo di madre, un padre presente e desideroso di prendersi le sue responsabilità. Melissa ha finito la scuola e superato gli esami finali con il massimo dei voti e ha trovato subito lavoro, organizzandosi prima con un part-time e poi un full-time, trovando poi sistemazione in asilo nido per il bambino.
Valeria Balordi
Conclusioni
Quali, allora, i possibili effetti dell’intervento sui protagonisti dell’intricata vicenda familiare? In linea generale, l’accettazione della decisione di Melissa e la nascita del bambino sono diventati il simbolo della rinascita e del rilancio di tutti i legami familiari, favorendo il superamento della crisi. Dal nostro punto di vista, tutto ciò ha permesso, in modo particolare a Melissa, di:
Alla coppia genitoriale, invece, ha cambiato radicalmente lo sguardo riservato fino a quel momento a Melissa, agevolando il recupero di un rapporto intimo con la figlia stessa, il gusto della condivisione degli eventi piacevoli e meno piacevoli e l’accettazione della sua scelta di tenere con sé il piccolo.
Alle sorelle e al fratello, infine, ha restituito l’opportunità del dialogo e dello scambio paritario, la comprensione del dolore di Melissa e della difficoltà personale ad accettare quanto le stava accadendo.
La terapia ha funzionato perché al cambiamento di Melissa ha corrisposto anche un cambiamento degli altri componenti familiari. La persona che arriva da noi racconta una storia, la sua storia nella quale spesso la sua posizione all’interno del sistema non è tanto funzionale a lui o a lei, quanto agli altri membri del sistema nel quale questa persona si muove. Noi terapeuti, insieme alle persone che accogliamo, dobbiamo raccontare una storia diversa che permetta alla persona di cambiare la sua “posizione”.
Valeria Balordi
Sarah Pedrazzi
Simone Bruno
Operatori del Consultorio famigliare “Centro di Assistenza La Famiglia Ambrosiana” – Fondazione Guzzetti
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[1] L’articolo è una sintesi estratta dai seguenti contributi:
[2] M. Spagnuolo Lobb, Il now-for-next in psicoterapia.