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Sara Pelucchi – Il mio impegno tra università e consultorio

Incontriamo Sara Pelucchi, psicologa e psicoterapeuta di Fondazione Guzzetti. Sara, raccontaci dei tuoi studi…

Mi sono laureata in Psicologia all’Università Cattolica di Milano e ho frequentato la scuola di specializzazione Mara Selvini Palazzoli. In questi luoghi ho imparato a coniugare l’importanza di vedere il singolo rispetto ai suoi bisogni, la sua unicità, e che questo significa simultaneamente considerare il suo contesto relazionale e sociale, la famiglia d’origine e i legami d’attaccamento. Lavoro in tal senso con gli utenti, individui e famiglie, all’interno del consultorio. Ho imparato e, negli anni approfondito, come, specialmente per i bambini, le relazioni familiari vissute, i modelli appresi, sono per necessità e desiderio un aspetto da mobilitare e su cui lavorare per un cambiamento. Ho poi sentito utile acquisire una formazione nell’area della traumatologia, con la tecnica dell’EMDR e la psicoterapia senso-motoria, per aiutare le persone a rielaborare e affrontare situazioni traumatiche che generano dei veri e propri blocchi nelle persone.

Insieme all’attività di clinica, l’altra metà della tua anima è occupata dall’attività di ricerca accademica…

Esatto, sono un  dottore di ricerca in Psicologia sociale e docente a contratto in Cattolica, dove per 15 anni ho studiato il perdono di sé e i processi di rielaborazione di traumi collettivi: memorie traumatiche collettive sociali, come ad esempio quelle legate agli anni del terrorismo.

Di che cosa ti stai occupando ora?

Come collaboratrice del Centro d’Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia ora mi sto occupando di un progetto formativo e di ricerca sul coordinatore genitoriale inerente ad un altro aspetto della mia formazione, quello della psicologia giuridica.

Che cos’è il coordinatore genitoriale?

Si tratta di una nuova professionalità che viene dagli Stati Uniti, ma che di recente si sta sviluppando anche in Italia. E’ un professionista con competenze multidisciplinari che lavora con coppie altamente conflittuali. Nonostante vi sia un dispositivo del Tribunale con mantenimento e collocamento dei figli stabilito, i genitori rivelano una conflittualità cronica, l’assenza di una reale comunicazione e condivisione sui figli. Questa conflittualità pregiudica loro di vedere gli effetti di tale situazione sui figli e sui loro bisogni. L’intervento è centrato sul minore, ma è volto a lavorare con i genitori per ridurre l’alta conflittualità e lavorare sul co-parenting. E’ un intervento che aiuta i genitori a spostare il focus dal loro conflitto sui figli.


Sara Pelucchi

Siamo quindi in piena trincea…

Sì, sul campo, in consultorio, si intercettano queste dimensioni, i bisogni emergenti e attualissimi delle persone. Nell’analizzare la loro domanda mi capita di rendermi conto che mi manca qualcosa per essere più efficace e quindi mi muovo per cercare soluzioni che non possiedo ancora e che intravedo necessarie. Grazie alla partecipazione ad equipe di ricerca e l’accesso alle fonti universitarie ho la fortuna e possibilità di approfondire e cercare risposte già esistenti. Clinica e ricerca si incontrano con un obiettivo comune.

Hai sempre voluto fare la psicologa?

Si…credo di si… se penso alle mie risposte alla domanda cosa vuoi fare da grande, ricordo che ho pensato molto presto a questo lavoro. Sono molto curiosa e sono sempre stata un attenta osservatrice di tutto ciò che mi circondava, a dire il vero due aspetti e sensibilità riscontrabili in molti colleghi psicologi. Sono cresciuta all’interno di gruppi, amicali, sportivi, gli scout e ovviamente la mia famiglia. Ho appreso in queste realtà l’importanza dell’incontro con l’altro, con la sua differenza, osservando in queste dinamiche le fatiche che provavano le persone che faticavano nel sentirsi accolte. Queste esperienze di vita e gli studi poi mi hanno permesso di dare una professionalità a questo sentire e di comprenderne i diversi livelli di complessità in gioco. Ho percepito il mio lavoro come una naturale conseguenza delle mie caratteristiche anche se solo dopo ho realmente imparato che cosa significhi essere uno psicologo e uno psicoterapeuta.

In che modo Fondazione Guzzetti entra nella tua vita professionale?

Ho sempre desiderato lavorare in un consultorio familiare. Per due motivi. Il primo è l’importanza che ritengo abbiano le transizioni e relazioni familiari nella vita di una persona. Il secondo riguarda la dimensione di servizio pubblico per garantire alle persone di accedere a un servizio di competenza. Per questo ho cercato un consultorio familiare dove svolgere il mio tirocinio di specialità. Dopo due esperienze in altri consultori nell’hinterland milanese sono approdata al consultorio Kolbe. Sin dall’inizio ho avuto la fortuna di respirare in questo consultorio, in cui lavoro da ormai quindici anni e di cui sono appena diventata coordinatrice, un’atmosfera tra colleghi e un’impostazione molto arricchente: l’unione di accoglienza e competenza per un servizio che vada incontro ai bisogni sempre più complessi delle persone.

Di che cosa c’è bisogno ora?

Data la situazione di emergenza sanitaria che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, credo che il focus del lavoro consultoriale oltre a necessari interventi di natura preventiva, debba potenziare le risorse per  interventi di cura legati agli effetti a breve medio termine. Nei diversi incontri formativi che facciamo ho avuto la possibilità di vedere la competenza clinica di molti colleghi della Fondazione. Siamo pronti ad affrontare tutte le sfide del post pandemia ma dobbiamo essere anche sostenuti in questo.

Un tuo desiderio per il futuro?

Riuscire a mettere insieme sempre di più ricerca accademica e intervento in consultorio. Ho fatto una scelta, quella di privilegiare la clinica, ma rimane vivo in me il desiderio di continuare a fare tanta ricerca. La pandemia ce l’ha insegnato: è dalla ricerca e dallo studio che possiamo pensare a un cambiamento. Sogno che le realtà dei consultori siano ancora più valorizzata a livello sociale e politico, soprattutto in relazione ai bisogni sempre più grandi che stanno emergendo, anche a causa della pandemia. Occorre potenziare le risorse del servizio offerto dal servizio sanitario, attivare collaborazioni e, da parte nostra, una sfida potrebbe essere quella di trovare strategie per attivare ancora di più la dimensione dell’intervento di gruppo per aumentare l’efficacia dei nostri interventi e arrivare così a più persone.